di OLGA MUGNAINI
FIRENZE È UN MURETTO di appena mezzo metro, sufficiente però a confermare il racconto di Giorgio Vasari e a posare gli occhi sulla prova generale di quella che sarebbe stata l’impresa ingegneristica inimmaginabile per l’epoca: la cupola del Brunelleschi. Ser Filippo la costruì nello scetticismo di tutti, vincendo il bando del 19 agosto 1418, pubblicato per realizzare la copertura dell’ampliata cattedrale di Santa Maria del Fiore. Ma prima aveva dovuto dimostrare che i suoi calcoli erano esatti, e che la cupola senza armatura sarebbe stata su. Non svelò mai i suoi segreti, anzi fece sempre di tutto per confondere carte e numeri. Ma per convince “Consoli” e “Operai”, sappiamo attraverso le Vite del Vasari che il genio di Brunelleschi dovette portare prove concrete. Che arrivarono con la costruzione, attorno al 1420, della Cappella Barbadori nella piccola chiesa fiorentina di Santa Felicita, diventata poi Capponi e celebre per la “Deposizione” del Pontormo. OGGI, nel corso di un accurato ed eccellente restauro, ecco saltar fuori quei pochi resti della cupola emisferica, andata in gran parte distrutta e rifatta nel corso degli ampliamenti del 1736, eseguiti da Ferdinando Ruggero. «La scoperta conferma la notizia tramandata da Vasari – spiega Daniele Rapino, funzionario della soprintendenza e supervisore del restauro –, per cui Brunelleschi, prima di cimentarsi nel suo capolavoro in Santa Maria del Fiore, creò nella Cappella Barbadori in Santa Felicita il suo modello di cupola». L’occasione delle indagini è arrivata col restauro dell’intera Cappella Capponi, grazie al finanziamento dalla Fondazione Friends of Florence, attraverso i suoi donatori Kathe e John Dyson. Con l’importo complessivo di 120mila euro, sono stati effettuati saggi approfonditi su strutture e superfici, condotti in collaborazione con il dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Firenze. GLI STUDI hanno anche appurato che cento anni dopo, lavorando in Santa Felicita Pontormo rispettò il lavoro del grande maestro. E infatti, ancora adesso sono visibili le tracce di una sontuosa decorazione in oro e blu con cui Brunelleschi rivestì i capitelli in pietra serena, a richiamare i colori dell’Arme Barbadori. Parte di questi capitelli e lesene sono ancora visibili, mentre il restante è “incamiciato” all’interno delle strutture soprammesse nei lavori di rinnovamento della chiesa del 1736. Ma soprattutto è riemersa anche parte della cupola originaria, più svettante e ampia di quella attuale che fu costruita nel 1766. In particolare, analizzate le cortine murarie, è stato scoperto un pezzo di muro di circa 45 centimetri che sale con i mattoni murati a lisca di pesce. Ma come era nell’insieme la cappella creata da Brunelleschi? [1]«Buona parte della critica ritiene, e io sono d’accordo con questa teoria – prosegue Rapino – che [1]l’aspetto originario della cappella sia quello dipinto nella Trinità del Masaccio in Santa Maria Novella. Anzi, ritengo che quell’architettura illusionistica, con colonne e arcate sia proprio stata dipinta dalla mano di Brunelleschi, lasciando a Masaccio la realizzazione delle figure. Del resto sappiamo che i due non solo si conoscevano bene, ma che in quegli anni lavoravano anche fianco a fianco».